del 18 settembre 2017
I conti da fare, anche in futuro, con il peso di quel 23,36 per cento di votanti
I social fanno rumore, ma non votano. Il Pd, invece, rumore non ne ha fatto per niente, e lui pure non ha votato. Le due opposte sonorità – ridondante la prima, impercettibile la seconda – si sono sommate però nell’esito di far mancare il quorum al referendum su Aimag. Un traguardo, va subito precisato, comunque inimmaginabile. Un regolamento comunale a capocchia sulle consultazioni referendarie che mantiene la soglia del 50 per cento più uno per prendere in considerazione un esito al quale sono chiamati a concorrere 62 mila e passa cittadini, 10 mila più che per le normali elezioni, poteva lasciare solo a qualche illuso la speranza di superare un’asticella posta a quota 31 mila votanti. Su questo, dunque, nessuno – a meno di iscriversi al novero di chi è fuori dalla realtà – può parlare di flop, come pure ha fatto qualche quotidiano, o, peggio, lasciarsi andare agli sfottò sulle urne deserte o ancora sottolineando che “solo” il 23 per cento è andato a votare, nello stile del segretario fossolese del Pd, Marco Reggiani. Lo ha fatto intendere anche il Sindaco, nel proprio equilibrato commento al risultato: il mancato raggiungimento del quorum, ha scritto, “…impone a tutta la politica una riflessione seria sull’attuale Regolamento che norma questo strumento di partecipazione”. Ed è un commento perfino più efficace delle pur concrete circostanze lamentate dal Comitato promotore per quello che definisce “il boicottaggio compiuto dalla Giunta comunale” allo scopo di lasciar cadere nel vuoto la consultazione.
Quanto pesa un 23,36 per cento
Ecco perché, al di là del quorum, il risultato di 14 mila 102 Carpigiani che si sono scomodati per andare a infilare il Sì nelle urne a difesa dell’azienda che, come ha detto un osservatore ironico, “…gli manda a casa le bollette”, va preso in sé. E va considerato molto seriamente, anche in relazione all’andamento delle ultime elezioni regionali e comunali e in vista dell’appuntamento elettorale del 2019. La cifra è ragguardevole. Provando un esercizio del tutto teorico, si può dire che 14 mila voti rappresentano quasi il totale di quelli – furono 15 mila 810 – messi insieme da tutte le minoranze alle Comunali del 2014. Il “quasi” sono 1.708 voti identificabili in parte con elettori di Forza Italia che ha mantenuto un atteggiamento ambiguo se non addirittura allineato con la Giunta sul quesito referendario. Lo provano i Sì sotto la media in sezioni tradizionalmente moderate come quelle del centro dove le stesse percentuali di affluenza alle sezioni allestite in Municipio e nella scuola Pio solo in un caso superano la media comunale del 23,36 per cento, restando per lo più tra il 22 e il 16. Sul piano politico questo non significa apparentemente nulla, perché nell’arco del Sì ci stavano la sinistra sinistra come la Lega Nord, i civici di Carpi Futura come i 5 Stelle e il Gruppo misto di Roberto Arletti per i quali è difficile pensare ad alleanze. Ma si sa che i ballottaggi sono fatti proprio per questo: per riunire talvolta gli opposti, specie se prende forma un bersaglio comune quali si sono profilati in questa circostanza il Pd e il Sindaco. Il caso di Ignazio Marino, a Roma, dovrebbe insegnare qualche cosa. C’è stato chi, come Luigi Anceschi, del Comitato referendario, ha delineato altri percorsi futuribili, sottolineando come alle Regionali Pd e Sel non fossero andati oltre i 12 mila voti che, alla luce del Sì al referendum, appaiono molto più contendibili dei 21 mila totalizzati dalla coalizione in sostegno di Alberto Bellelli nel 2014. Anche in questo caso occorre molta prudenza, dato il fortissimo tasso di astensione che registrò l’elezione di Stefano Bonaccini: chi può prevedere, tuttavia, come sarà il clima politico tra due anni? Ma se per primo un Mirco Arletti, sul fronte opposto, ha azzardato che, con una partecipazione inferiore al 20 per cento, non sarebbe valsa la pena tener conto politicamente del risultato, verrebbe da chiedersi, che cosa direbbe ora a fronte di un 23? E a un quarto dell’elettorato che si muove per votare su una questione nient’affatto semplice come quella contenuta nel quesito referendario? Insomma: il referendum ha fatto suonare una campana i cui rintocchi politici il Pd non potrà certo sottovalutare.
Aimag: questione sempre aperta
Resta la sostanza della questione Aimag, con tutte le annotazioni rese note dal Comitato promotore e che ruotano intorno a una frase: “Oggi – scrive in un comunicato – il punto lo segniamo noi, perché la vendita di Aimag adesso è diventata semplicemente improponibile, mentre tre anni fa veniva data per conclusa”. Estrarre il problema del destino della multiutility dalla condizione di semiclandestinità anche prima del referendum; aver costretto i sindaci e i consigli comunali a discuterne, evidenziando anche punti di vista molto diversi; averla messa in vetrina non solo come quesito referendario, ma anche come informazione sul complesso tema delle multiutility, portando esempi e soluzioni adottate in altre realtà; dimostrare che finire in Hera non è scritto nel destino: ecco, tutto questo va ascritto a merito del Comitato promotore, impegnato in un esercizio di trasparenza e democrazia dal quale, a differenza del Sindaco, si è tenuto clamorosamente alla larga il Pd, non poco a disagio nell’incoraggiare all’astensione una base che le questioni politiche è abituata a prenderle di petto, anche andando controcorrente, piuttosto che a sottrarsi. Il Sindaco, si diceva. Qualcuno sostiene che la campagna referendaria, affrontata a viso aperto, combattuta colpo su colpo e quasi in solitaria, fino all’epilogo di recarsi a votare per rispetto della consultazione e dei cittadini, lo abbia per così dire rivitalizzato. E gli abbia fatto superare un momento di appannamento che aveva autorizzato l’ipotesi di una sua rinuncia al secondo mandato. Restando ai fatti, si può dire che nella circostanza ha messo in campo uno stile molto diverso dall’arroganza spavalda esibita da un Mirco Arletti che non ha fatto nulla per nascondere la propria insofferenza per una consultazione che osava mettere in dubbio l’indubitabile, cioè la fusione di Aimag con Hera. Lui, Bellelli, più vicino in questo all’assessore Simone Tosi che al pasdaran Arletti, ha sempre messo l’accento sulla volontà di mantenere competitiva Aimag in accordo con il patto di sindacato piuttosto che concedersi a prospettare questa o quella soluzione. Ora però occorrerà valutarne gli atti concreti: e qualunque suo pronunciamento non potrà trascurare che 14 mila Carpigiani si sono espressi non tanto per mantenere pubblica la gestione dell’acqua o per altro, ma contro ogni ipotesi di fusione con Hera, se mai fosse questa l’idea che gli frulla in testa.
I partiti, le bandiere e la geografia del voto
Fra mille meriti, un errore il Comitato lo ha commesso. Non per deliberata volontà del suo portavoce, Roberto Galantini, mantenutosi rigorosamente sulla questione in sé, ma perché le cose hanno preso una piega alla quale era forse difficile opporsi, stante il fabbisogno di aiuto da parte di più volontari possibili. Ed è stato l’accorrere dei partiti sotto le bandiere del Comitato Acqua pubblica. Qualcuno, come i Cinque Stelle, lo ha fatto fin dall’inizio, per affinità elettiva con il problema, mettendo poi in campo volontariato e streaming. Qualcun altro, come Articolo Uno Mdp, Sinistra italiana, Rifondazione, Possibile, si è affrettato ad aggregarsi, avendo sentito odore di spallata al Pd. Vedere tante bandiere ed esponenti di partito, compreso un esagitato parlamentare dei 5 Stelle, sul palco di piazza Garibaldi nella serata del comizio conclusivo non deve aver incoraggiato chi, pur in area Pd, nutre seri dubbi sull’eventualità che Aimag venga ingoiata da una compagine quotata in Borsa. La sostanza del problema ha assunto forme che hanno allontanato, più che attrarre espressioni di voto su una questione essenzialmente di interesse civico. Strappare consensi al Pd in nome di una causa concreta, in cui simpatizzanti ed elettori di quel partito si sentono cittadini come gli altri è altra cosa dal pretendere che si allineino sotto altre bandiere. Tanto più che gli apporti di quelle bandiere, a parte i 5 Stelle, assumono le dimensioni di uno zero virgola dell’elettorato. A proposito di partiti. È difficile ormai collocarli in una geografia elettorale del territorio, usando in questo caso il criterio dell’astensione che poteva misurare il grado di influenza del Pd. In zone tradizionalmente “rosse” come le frazioni del nord, solo per due casi – San Marino con il 20,43 e Cortile con 13,69 – il numero dei votanti è stato inferiore alla media comunale: le altre l’hanno superata abbondantemente, con il picco di Budrione a quota 28,41. Blanda è stata invece la partecipazione della “bianca” Gargallo (20,88), così come la zona sud del capoluogo che ha votato alla Da Vinci si è piegata all’astensione, percepibile anche dalla parte opposta, alla media Focherini, che sia stata o meno in ossequio alle direttive del Pd. E Fossoli, patria del segretario dem? Ha raggiunto il 26,49, consegnando al Sì anche uno dei risultati più alti, senza per questo rinunciare a dire la propria sul No, che qui ha ottenuto il maggior numero di voti: 14 contro la media comunale di 7. La frazione, antica roccaforte comunista, l’astensione non la capisce proprio e preferisce dire la propria, anche quando serve a poco o niente.
di Florio Magnanini